Una nuova resina fotoreattiva sviluppata dal MIT promette di trasformare radicalmente il flusso di lavoro nella stampa 3D, semplificando il processo di rimozione dei supporti strutturali. Il team di ricerca ha creato un materiale che si indurisce sotto luce ultravioletta (UV) per formare strutture resistenti, ma che diventa solubile se esposto alla luce visibile.

Questo approccio permette di stampare in un’unica sessione sia le parti finali funzionali sia i supporti temporanei, che possono poi essere sciolti in liquidi sicuri come l’olio per bambini. La tecnologia consente quindi di eliminare interventi manuali post-stampa come il taglio o la limatura, accelerando la produzione, riducendo gli sprechi e aprendo la strada a un sistema di riciclo in loco.

“Ora si possono stampare, in un solo passaggio, assemblaggi funzionali con parti mobili o interbloccate. I supporti? Basta sciacquarli via,” spiega Nicholas Diaco, dottorando al MIT.

Come funziona: la resina “dual-cure”

resina uv fotoreattiva

Alla base dell’innovazione c’è una resina a doppia polimerizzazione composta da due monomeri: uno si attiva con UV e l’altro con luce visibile. Il primo crea le parti permanenti, mentre il secondo forma supporti facilmente eliminabili. Il team ha superato un limite iniziale (la bassa intensità dei LED nei comuni stampanti VPP non garantiva una polimerizzazione robusta) aggiungendo un terzo monomero “ponte”, che consente un legame più stabile anche con fonti luminose meno potenti.

Questa modifica ha permesso di stampare con successo oggetti complessi come ingranaggi interbloccati, strutture reticolari e persino un mini-dinosauro racchiuso in un guscio dissolvibile.

“Rimuovere i supporti nei prodotti complessi è sempre stato un collo di bottiglia,” sottolinea Diaco. “Con questo metodo possiamo produrre anche apparecchi acustici e impianti dentali in modo personalizzato, veloce e sostenibile.”

Prospettive industriali e sostenibilità

L’idea di resina a polimerizzazione selettiva apre la strada a una stampa 3D più green e scalabile. “Il nostro obiettivo è integrare questo processo con sistemi automatizzati e chiusi, dove il materiale sciolto viene riutilizzato,” dichiara il prof. John Hart. “È una base concreta per una produzione additiva davvero efficiente.”

La ricerca, pubblicata su Advanced Materials Technologies, è frutto di una collaborazione tra vari istituti tra cui InnoHK (Hong Kong), National Science Foundation, Office of Naval Research e U.S. Army Research Office.

Questo progetto si inserisce in un quadro più ampio di innovazioni da parte del MIT. Solo pochi mesi fa, il laboratorio CSAIL ha presentato Xstrings, una tecnica che stampa meccanismi a cavo integrato in un singolo passaggio, eliminando l’assemblaggio manuale. Parallelamente, un altro team ha sviluppato muscoli artificiali stampabili in 3D che mimano i movimenti biologici grazie a un’inedita tecnica di “stamping” microtopografico.